giovedì 21 giugno 2018

Congresso EHA 2018, LMA il quizartinib aumenta la sopravvivenza rispetto alla chemioterapia

Congresso EHA 2018: il quizartinib aumenta la sopravvivenza complessiva rispetto alla chemioterapia nei pazienti con LMA recidivante/refrattaria con mutazioni di FLT3-ITD
Congresso EHA 2018: il quizartinib aumenta la sopravvivenza complessiva rispetto alla chemioterapia nei pazienti con LMA recidivante/refrattaria con mutazioni di FLT3-ITD Roma, 19 giugno 2018 – Daiichi Sankyo ha presentato in Svezia, al 23esimo Congresso dell’European Hematology Association (EHA), i risultati positivi dello studio pilota di fase III QuANTUM-R, che saranno alla base delle prossime sottomissioni alle autorità regolatorie di tutto il mondo. Con una riduzione del 24% del rischio di morte, il trattamento innovativo con quizartinib in monoterapia prolunga significativamente la sopravvivenza complessiva (6,2 mesi) rispetto alla chemioterapia di salvataggio (4,7 mesi) nei pazienti con leucemia mieloide acuta (LMA) recidivante o refrattaria con mutazioni FLT3-ITD, dopo il trattamento di prima linea. La probabilità di sopravvivenza a 1 anno è stata stimata al 27 % per i pazienti trattati con quizartinib rispetto al 20% per pazienti trattati con chemioterapia di salvataggio. La leucemia mieloide acuta con mutazioni FLT3-ITD è una neoplasia maligna aggressiva del sangue e del midollo osseo che causa la crescita e l’accumulo incontrollati di globuli bianchi maligni che non funzionano regolarmente e interferiscono con la produzione delle cellule normali del sangue. Le mutazioni del gene FLT3 costituiscono una delle più comuni anomalie genetiche della Leucemia Mieloide Acuta.
La mutazione FLT3-ITD è la più comune mutazione dell’ FLT3 e colpisce all’incirca 1 paziente su 4 con LMA.3,4,5,6 I pazienti affetti da LMA con mutazioni FLT3-ITD hanno una prognosi complessiva peggiore, che comprende un aumento dell’incidenza di recidiva con un rischio di morte circa due volte maggiore dopo la segnalazione della recidiva stessa, nonché una maggiore probabilità di recidiva dopo trapianto di cellule staminali, rispetto ai pazienti senza questa mutazione.7,8 La sopravvivenza a cinque anni della LMA, tra il 2005 e il 2011, era all’incirca del 26%, la più bassa di tutte le leucemie.¹ “La leucemia mieloide acuta recidivante o refrattaria con mutazioni FLT3-ITD rappresenta un bisogno altamente insoddisfatto, dal momento che i pazienti affetti da questa forma aggressiva della malattia hanno complessivamente una prognosi negativa, come evidenziato dai bassi tassi di risposta alle terapie attualmente disponibili, dall’alto rischio di recidive e dalla sopravvivenza complessiva più breve rispetto a coloro che soffrono della LMA senza mutazione – ha spiegato il dottor Jorge E. Cortes, Vice Presidente del Dipartimento di Leucemia nella Divisione di Medicina Oncologica dell’Università del Texas – “Per questa specifica forma di leucemia, questi risultati rappresentano i primi dati clinici riportati che dimostrano che un agente in monoterapia può migliorare significativamente la sopravvivenza complessiva, suggerendo che il quizartinib possa potenzialmente aiutare i pazienti affetti da LMA a vivere più a lungo. Inoltre, nello studio, una percentuale maggiore di pazienti del braccio quizartinib hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali rispetto al braccio chemioterapia.” 
I risultati di QuANTUM-R mostrano che nei pazienti affetti da LMA recidivante o refrattaria con mutazioni FLT3-ITD che hanno ricevuto il trattamento con il quizartinib in monoterapia è stata osservata una riduzione del rischio di morte del 24% rispetto ai pazienti trattati con chemioterapia di salvataggio (hazard ratio [HR] = 0,76- P=0,0177 – 95% CI 0,58-0,98). La sopravvivenza complessiva media è stata di 6,2 mesi (95% CI a due code 5,3-7,2) per il braccio quizartinib e 4,7 mesi (95% CI a due code 4,0-5,5) per il braccio chemioterapia di salvataggio. La probabilità di sopravvivenza stimata a 1 anno è stata del 27 % per i pazienti trattati con quizartinib e del 20% per pazienti trattati con chemioterapia di salvataggio. “I risultati di questo studio sono coerenti con quelli precedenti di fase II e dimostrano la validità della strategia di colpire la mutazione FLT3-ITD. Siamo incoraggiati da questi dati che saranno alla base delle sottomissioni presso le autorità regolatorie in tutto il mondo. 
Se approvato, il quizartinib ha il potenziale di ridefinire il trattamento dei pazienti con leucemia mieloide acuta recidivante o refrattaria con mutazioni FLT3-ITD. – ha commentato Antoine Yver, Vicepresidente esecutivo e Direttore globale del Dipartimento di ricerca e sviluppo oncologici di Daiichi Sankyo. “I dati raccolti, inoltre, approfondiscono la nostra conoscenza di questo tipo di LMA difficile da trattare, mentre continuiamo ad esplorare il potenziale ruolo del quizartinib in combinazione con la chemioterapia e altri meccanismi, al fine di sviluppare ulteriormente il trattamento anche nelle nuove diagnosi.”. Il profilo di sicurezza osservato nello studio QuANTUM-R appare coerente con quello osservato a dosi simili nel programma di sviluppo clinico del quizartinib. La durata media del trattamento con quizartinib è stata di 4 cicli di 28 giorni (97 giorni; range: 1-1,182 giorni) versus 1 ciclo (range: 1-2) nel braccio con chemioterapia di salvataggio. L’intensità mediana della dose relativa per quizartinib era dell’89%. L’incidenza degli eventi avversi emergenti dal trattamento sono comparabili tra i pazienti che hanno ricevuto il quizartinib in monoterapia (n=241) e quelli trattati con la chemio di salvataggio (n=94). Gli eventi avversi più comuni (>30%, di qualunque grado) in pazienti riceventi quizartinib versus chemioterapia, includevano, rispettivamente: nausea (48 vs 42%), trombocitopenia (39 vs 34%), stanchezza (39 vs 29%), dolore muscoloscheletrico (38 vs 29%), iperpiressia (38 vs 45%), anemia (37 vs 32%), neutropenia (34 vs 26 percent), neutropenia febbrile (34 vs 28%), vomito (33 vs 21%) e ipocalcemia (32 vs 28%). Gli eventi avversi più comuni di grado ≥3 (>10% dei pazienti) sono stati: trombocitopenia (35 vs 34%), anemia (30 vs 29%), neutropenia (32 vs 25%), neutropenia febbrile (31 vs 21%), leucopenia (17 vs 16%), sepsi/shock settico (16 vs 18%), ipocalcemia (12 vs 9%) e polmonite (12 vs 9%). 
L’intervallo QTcF >500 msec è stato osservato in 8 pazienti (3,3%) e 2 dei 241 pazienti hanno interrotto il trattamento con quizartinib a causa del prolungamento dell’intervallo QTcF. Nel braccio con quizartinib non sono stati registrati eventi di grado 4 di prolungamento dell’intervallo QTcF (torsade de pointe, morte improvvisa o arresto cardiaco). Informazioni sul trial QuANTUM-RQuANTUM-R è uno studio pilota, globale, di fase III, randomizzato, in aperto, che in 19 Paesi ha arruolato 367 pazienti con LMA recidivante/refrattaria con mutazioni FLT3-ITD. I soggetti sono stati randomizzati in rapporto di 2:1 per ricevere quizartinib in monoterapia (60 mg, con 30 mg di lead-in) oppure chemioterapia di salvataggio. L’endpoint primario dello studio era quello di determinare se quizartinib in monoterapia potesse prolungare la sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia di salvataggio, dopo la somministrazione della terapia di prima linea. 
L’endpoint secondario era la sopravvivenza libera da eventi. Informazioni su quizartinibIl Quizartinib è il prodotto di punta del franchise sperimentale sulla Leucemia Mieloide Acuta di Daiichi Sankyo Cancer Enterprise. E’ un inibitore selettivo orale dell’ FLT3, attualmente in fase III di sperimentazione a livello globale per la LMA recidivante/refrattaria (studio QuANTUM-R) e di nuova diagnosi (studio QuANTUM-First) con mutazioni FLT3-ITD, e in fase II di sviluppo in Giappone per la LMA recidivante/refrattaria con mutazioni FLT3-ITD.Il quizartinib ha ottenuto, dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense, la designazione di “Fast Track” (procedura accelerata) per il trattamento della LMA recidivante/refrattaria, e la denominazione di farmaco orfano dalla stessa FDA e dall’Agenzia europea dei medicinali (EMA) per il trattamento della LMA. Il quizartinib è una molecola in fase di sperimentazione non approvata per alcuna indicazione in alcun Paese. La sicurezza e l’efficacia non sono state ancora determinate. Daiichi Sankyo Cancer EnterpriseLa vision di Daiichi Sankyo Cancer Enterprise consiste nell’applicazione di conoscenze e capacità innovative guidate da un pensiero non convenzionale per sviluppare trattamenti significativi per i pazienti affetti da cancro. 
L’azienda è impegnata a trasformare la scienza in valore per il paziente, e questo impegno è presente in tutte le sue attività.L’obiettivo è quello di mettere a disposizione dei pazienti sette nuove molecole nei prossimi otto anni, dal 2018 al 2025, avvalendosi dei risultati dei SUOI tre pilastri: il Franchise Anticorpo Farmaco Coniugato, quello dedicato alla Leucemia Mieloide Acuta e quello di ricerca focalizzato sullo sviluppo delle nuove molecole (Fase I).I Centri di ricerca della Daiichi Sankyo Cancer Enterprise includono due laboratori di bio/immuno-oncologia e “small molecules” in Giappone e Plexxikon Inc. a Berkeley (California), e il centro di R&S sulla struttura delle “small molecules”. Tra i composti che si trovano nella fase cruciale di sviluppo figurano: DS-8201, un coniugato anticorpo-farmaco (ADC) per i carcinomi HER2-positivi della mammella, dello stomaco ed altri, il quizartinib, un inibitore orale selettivo di FLT3 per la leucemia mieloide acuta (AML) con mutazioni di FLT3-ITD di nuova diagnosi e recidivante/refrattaria, e il pexidartinib, un inibitore orale di CSF-1R per il tumore tenosinoviale a cellule giganti.
fonte: Mario Mauri - Notiziabile

lunedì 18 giugno 2018

Integrazione per la Gravidanza: Fondazione Graziottin ecco la prima web lesson

L’iniziativa è organizzata dalla Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore della donna - Onlus, con il supporto incondizionato di Italfarmaco
I corsi si terranno tra maggio e settembre. A maggio Alessandra Graziottin terrà una web conference che coinvolgerà 4 città italiane – Milano, Siena Napoli e Alghero – e una serie di web seminar per formare i medici sull’importanza dei micronutrienti nella fase PREconcezionale, durante la gravidanza e in allattamento, per ottimizzare la salute del bambino e della donna. 750 ginecologi seguiranno i Corsi che saranno tenuti via web dalla Fondazione Graziottin Onlus, a maggio 2018, con il supporto di Italfarmaco. L’altissimo numero di iscrizioni è andato molto oltre le attese. Segno che il Corso risponde ad un’esigenza essenziale per la pratica clinica: essere aggiornati sulle ultime evidenze sul ruolo degli integratori PRIMA della gravidanza per ridurre significativamente il rischio di malformazioni e di altre serie patologie agendo PRIMA del concepimento. “La prima casa che il piccolo abita è il corpo della mamma, la prima cameretta è il suo utero” dice la Professoressa Alessandra Graziottin, Direttore del Centro di Ginecologia H. San Raffaele Resnati, Milano e Presidente della Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna- ONLUS. “Assumere i giusti integratori PRIMA del concepimento significa preparare l’ovocita (la cellula riproduttiva femminile che, fecondata, darà vita all’embrione), preparare la cameretta e la casa nel modo migliore, riducendo nettamente la vulnerabilità a patologie anche gravissime. Carenze vitaminiche e di oligoelementi posso infatti alterare la formazione dell’embrione fin dalle primissime fasi. Basti dire che il 3-5% dei neonati presenta malformazioni diverse. Con la supplementazione PREconcezionale possiamo ridurre del 70% quelle del tubo neurale (testa e colonna vertebrale) e del 30-50% le altre malformazioni (cardiache, renali, genitali…)”. Continua la professoressa Graziottin: “La gravidanza segna per il bimbo l’inizio di un viaggio fisico, emotivo ed affettivo, che dura tutta la vita. Come ci si prepara con attenzione prima di ogni viaggio importante, così è essenziale che ogni mamma (e ogni papà!) si preparino con cura PRIMA del concepimento, ossia prima che il viaggio inizi. Con gli esami appropriati, con gli integratori più adeguati e con stili di vita sani”.Una prima web conference in diretta si terrà il 16 maggio in collegamento con 4 città italiane – Milano, Siena, Napoli e Alghero – mentre a fine mese, gli iscritti potranno accedere a seminari via web. I medici si riuniranno in sale conferenze nelle proprie città e saranno collegati in teleconferenza. Si potranno mettere in collegamento con il loro device preferito, dal pc al tablet, e potranno fare domande attraverso una chat che un coordinatore modererà per tutta la durata del Corso. A conclusione delle conferenze i partecipanti potranno avere anche la registrazione.La formazione via web prevede l’erogazione dei crediti ECM. I punti critici che saranno affrontati nei Corsi di Formazione di questa campagna educativa sul concepimento diretta alla futura mamma – e alla coppia- attraverso il ginecologo-ostetrico di fiducia includono, tra l’altro, quando assumere gli integratori, per quanto tempo, quali siano i prodotti più adeguati secondo le più attuali linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), a chi somministrarli e quali siano le dosi ottimali raccomandate. “Purtroppo dal 2008 al 2018 l’atteggiamento delle donne nei confronti della prevenzione PREconcezionale, non è cambiato: è sempre preoccupantemente basso, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità Italiano”, continua la Professoressa Alessandra Graziottin. “In Italia il 48% dei concepimenti avviene ancora “per caso”: sono allora la donna e la coppia a dover avere un maggiore senso di responsabilità verso il piccolo che verrà”, continua la Professoressa Graziottin. “E quand’anche la donna dica “Stiamo pensando ad un bimbo”, solo nel 19,4% di casi il medico prescrive la necessaria integrazione PRIMA del concepimento. Di fatto, solo 1 donna su 5 previene attivamente le malformazioni del suo bambino iniziando gli integratori, e l’acido folico in particolare, PRIMA della gravidanza”. “E’ essenziale che i medici diventino proattivi, spiegando la necessità dell’integrazione PREconcezionale e prescrivendo i prodotti più adeguati e completi ad ogni donna che cominci a pensare ad un figlio. Per questo sono molto soddisfatta di questa adesione massiccia, che grazie anche alle nuove tecnologie ci permette di organizzare una campagna formativa capillare, agile ed efficace, su tutto il territorio nazionale”. “La situazione in Italia in termini di integrazione in gravidanza – continua Alessandra Graziottin – è urgente. Soprattutto per quanto riguarda l’acido folico, che viene prescritto troppo tardi, quando la gravidanza è già cominciata, esponendo il feto ad elevati rischi di malformazioni. Ma importantissimi sono anche lo iodio, la vitamina D, il selenio, il ferro, il calcio e gli Omega 3. Quando parliamo di diritti del bambino dobbiamo pensare prima di tutto ad offrirgli la migliore partenza per il grande viaggio della vita. È quindi necessario preparare un ambiente fisico–biologico adeguato e ottimale, in quelle che chiamo le tre stagioni cardinali: prima del concepimento, durante la gravidanza e durante l’allattamento”. “Sul fronte della gravidanza, la mia Fondazione si è data due missioni educative prioritarie: una rivolta all’integrazione dei nutrimenti fin dalla fase PRE-concezionale, l’altra relativa a combattere l’assunzione in gravidanza di sostanze tossiche per il feto come il fumo, l’alcol e la droga, verso le quali bisogna avere tolleranza zero: non vanno assunti, nemmeno in minima quantità, perché non esiste una soglia minima di sicurezza. Inutile parlare di “amore per il figlio”, e avvelenarlo fin da quando è in utero”. In linea teorica, la donna in gravidanza dovrebbe seguire solo una dieta specifica, in grado di fornirle, per tutti i nove mesi, i fabbisogni raccomandati che sono più elevati.Tali fabbisogni sono indicati con precisione nelle tabelle nutrizionali della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), dalla Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) e OMS in USA e nel mondo. A queste tabelle e indicazioni fanno riferimento le linee guida per la nutrizione in gravidanza, in quanto purtroppo i livelli ottimali di alcuni nutrienti critici non sono raggiunti con l’alimentazione. Per questo è essenziale cambiare atteggiamento, e condividere con tutti i ginecologi-ostetrici italiani un progetto di prevenzione e di protezione del bimbo fin da prima della gravidanza. Un progetto etico da offrire a tutte le donne, italiane o immigrate, che desiderino un figlio e abitino nel nostro Paese. Perché Il futuro di salute comincia per tutti PRIMA del concepimento”
fonte: 20taskforceitaly - Claudio Ancillotti Notiziabile




Epilessia: congegno non chirurgico che prevede gli attacchi


Di Epilessia soffrirono anche Francesco Petrarca, Vincent Van Gogh e Napoleone Bonaparte.

Epilessia: cos'è?
L'epilessia è una malattia neurologica, che si manifesta in diverse forme, per cui è corretto parlare di epilessie. Molti pazienti, con forme meno gravi riescono a convivere con la malattia, mentre per le forme più gravi c'è bisogno di un supporto medico e specifico. 
Un'alterazione della funzionalità dei neuroni è il fattore che causa una crisi epilettica. Nello specifico, i neuroni diventano iperattivi e scaricano impulsi elettrici più del dovuto. Questa patologia ha ancora lati oscuri, non del tutto approfonditi dalla medicina odierna. I dati non sono molto confortanti: per un paziente su mille l'epilessia può essere fatale, le cure attualmente esistenti sono efficaci solo su due terzi della popolazione colpita, la sanità italiana spende svariati milioni di euro per questo tipo di patologia. In Europa si stimano circa sei milioni di malati. Le crisi epilettiche, spesso sono improvvise, mentre in alcuni casi possono essere precedute da alcuni sintomi. Proprio per il fatto che vi sono diverse forme di epilessia, molto eterogenee non si può affermare di soffrire di epilessia se vi è stato un solo caso, anche se grave. L'epilessia può essere transitoria e quindi interessare solo alcuni periodi della vita di un individuo (ad esempio nell'adolescenza e nella fase di sviluppo) e risolversi in modo naturale e spontaneo. 

Epilessia: possibili cause
  • fattori genetici;
  • uso di sostanze stupefacenti, alcol e carenza di sonno;
  • fotosensibilità (sensibilità a luci molto forti o a intermittenza artificiali o naturali);
  • lesioni strutturali cerebrali;
  • malformazioni del cervello;
  • traumi cranici;
  • malattie infettive;
  • ictus;
  • tumori
Alcuni rimedi per prevenire crisi epilettiche
Evitare stress eccessivi, dormire adeguatamente evitando risvegli precoci o assenza di sonno prolungata, prestare attenzione a schermi troppo luminosi, videogames o pc. 


Quali sono i sintomi dell'epilessia?
Le crisi epilettiche durano pochi minuti o secondi, la persona colpita perde coscienza cadendo a terra e irrigidendosi. Durante la crisi, il paziente può perdere urina involontariamente, morsicare la lingua ed è percorso da scosse (quindi movimenti involontari come se fosse attraversato da scosse elettriche). Altri sintomi cambiano in base a fattori soggettivi, per cui il paziente può restare con gli occhi spalancati senza alcuna reazione, avere tremori in tutto il corpo o solo in alcune parti. 

Crisi epilettica cosa fare
La prima cosa da fare quando sopraggiunge una crisi epilettica è quella di posizionare la testa del paziente sotto ad un cuscino o qualcosa di morbido e girarlo di lato per evitare che inghiotta saliva. Se la crisi si protrae per oltre cinque minuti è necessario telefonare al 118.  Il Policlinico di Roma Umberto I ha emesso una Guida all'epilessia - Lega italiana contro l'Epilessia  a cura della Commissione Promozione, Cultura ed Affari sociali LICE. 

La diagnosi
E' importante avere una diagnosi precisa e tempestiva della malattia; sono necessari alcuni esami diagnostici come la TAC e la risonanza magnetica, l'EEG, il quale registra l'attività elettrica del cervello (encefalo) e viene eseguito durante il sonno.  Infine può rendersi necessario per approfondire il quadro clinico sottoporsi anche ad un test genetico


Epilessia: le cure
Un primo approccio alla malattia è sicuramente farmacologico e serve anche per monitorare l'eventuale evoluzione dell'epilessia. Dopo circa due anni di cura, si può pensare ad una riduzione dei farmaci o alla completa assenza. 


Congegno non chirurgico per la cura dell'Epilessia: si indossa un'anca
Uno studio pubblicato su  Neural Networks e condotto dalla facoltà di ingegneria e IT dell'Università di Sydney hanno sviluppato un congegno capace di leggere i segnali cerebrali da una cuffia indossata in testa. Il congegno non chirurgico può predire un attacco di epilessia con un'attendibilità dell'80%. 

Da alcuni anni la fondazione LICE si sta interessando alla medicina narrativa, come strumento di supporto nell'affrontare la malattia. Nel 2012 è stato addirittura indetto un concorso di medicina narrativa, denominato "Raccontare l'epilessia" -  con i racconti e le poesie dei pazienti è stato realizzato un ebook "A volte non abito qui".



Come funziona il congegno
Si tratta di un'anca, che fa scattare un allarme fra i 5 e i 30  minuti prima dell'attacco. In realtà le crisi non sono mai casuali, ma sono conseguenti a particolari situazioni che si ripetono. E' il primo sistema che non prevede un intervento chirurgico.


Il membro Dr. Kavehei ha sviluppato un sistema per prevedere crisi epilettiche - Sydney Nano


La ricerca: il punto della situazione
La ricerca continua e oggi sta facendo grandi passi, tanto che circa il 70% delle cure risultano efficaci. Nuove terapie sono sotto osservazione, bisognerà fare ancora molto per la chirurgia e la prevenzione e per lo sviluppo di terapie personalizzate, studiate analizzando fattori genetici ed episodi clinici. Per quanto riguarda la genetica una delle azioni da compiere è l'istituzione di una banca di materiale biologico e di banche dati molecolari e di genomi, che possano essere a disposizione di studi internazionali.




venerdì 15 giugno 2018

Polinevrite: cos'è e come si cura


La polinevrite, caratterizzata da sintomi agli arti motori è una patologia che colpisce il sistema nervoso periferico. Questa patologia, chiamata anche polineurite interessa di solito i muscoli e i nervi degli arti inferiori ed è caratterizzata da un'infiammazione con diversi gradi di gravità.



Le cause della Polinevrite


Anche se le cause che scatenano la polinevrite non sono del tutto note, vi sono diverse ipotesi, che individuerebbero la causa nel funzionamento del sistema immunitario e a stati infiammatori. 
La polinevrite, che si manifesta in prevalenza in persone con un'età compresa fra i 20 e i 40 anni, potrebbe essere provocata, come già detto, da due fattori principali: da infezioni o da intossicazioni. Molto rara è la frequenza della malattia nei bambini e negli anziani di diversa età. Nelle persone anziane, in seguito a infezioni da influenze, potrebbero sorgere complicazioni con sintomi simili a quelli della polinevrite. 
Inoltre la polinevrite può avere origine da alcolismo, carenze alimentari, in particolare mancanza di vitamine del gruppo B e B12,  disfunzioni del metabolismo, fase iniziale dello sviluppo di un tumore, presenza di alcuni tipi di diabete. Altri microrganismi che potrebbero essere coinvolti nell'infezione che scatena la polinevrite sono il virus HIV, epatite A, B e C, il virus dell'influenza, sarcoidosi e salmonellosi

Quanti tipi di polinevrite esistono?

Polinevrite causata da intossicazione


Il diabete mellito è il principale fattore che causa la polinevrite da intossicazione; altre cause sono l'abuso di alcol, l'assunzione di alcuni farmaci e il contatto con sostanze tossiche, come l'aresenico, l'ossido di carbonio e il piombo. Le persone con una carenza importante di vitamina B1, possono essere affette da una patologia, chiamata beriberi e che può essere considerata l'anticamera della polinevrite. I sintomi sono caratterizzati da perdita di memoria, dolori diffusi, agitazione e ansia, riflessi lenti. Nell'individuazione di questa patologia è di fondamentale importanza, analizzare con esattezza i sintomi. 

Polinevrite infettiva

La tubercolosi, il tifo, la malaria e la difterite sono le cause infettive più note che possono portare alla polinevrite. La malattia insorge quando la causa infettiva guarisce e colpisce l'esofago, il palato, muscolo ciliare e la faringe. I danni ai nervi periferici si concretizzano come risposta del metabolismo e del sistema immunitario. 

Polinevrite causata da abuso di alcol 

Gli alcolisti hanno spesso problemi con la mucosa interna dello stomaco, compromessa per le grandi quantità di alcol ingerite; ciò fa sì che chi consuma abitualmente alcol presenti notevoli difficoltà nell'assorbire le vitamine e i nutrienti derivanti dal cibo. In questi casi la polinevrite nasce da uno stato generale di malnutrizione; l'alcolista assimila pochi nutrienti e vitamine e ciò provoca la polinevrite da alcol. 

Polinevrite derivante dal diabete

Uno delle forme di diabete più diffuso è il diabete mellito, caratterizzato da un aumento di glucosio nel sangue, che potrebbe causare danni seri ai vasi sanguigni. I tessuti di chi è affetto da diabete mellito ricevono pochi nutrienti, per cui si indebolirebbero, causando la polinevrite da diabete. 

I principali sintomi della polinevrite


Disturbi gastrointestinali e infezioni alle vie respiratorie sono i primi sintomi da tenere sotto controllo. Dai sintomi alla manifestazione della polinevrite ci vuole poco; essa presente in alcuni casi febbre forte, insufficienze respiratorie e distrofie a nervi e muscoli respiratori. Per la presenza di numerosi sintomi la polinevrite viene classificata in acuta, sub acuta e cronica, in base alla gravità dei sintomi stessi. Bisogna sempre prestare attenzione a fratture, cadute e traumi a carico di muscoli e ossa, perché con il tempo potrebbero evolversi in forme di polinevrite. 



Altri sintomi che possono sopraggiungere sono dolori generalizzati, pesantezza agli arti, formicolii, ipersensibilità del tatto o mancanza totale. Rientrano nei sintomi della malattia anche distorsioni, varici o fratture, caduta di unghie.  Purtroppo la polinevrite può evolvere in paralisi anche complete degli arti. 



Vi è una forma molto più grave di polinevrite (poliradicoloneurite), che attacca la mielina, la membrana che avvolge i nervi. Le cause di infiammazione cronica come la mononucleosi, l'herpes o l'epatite possono provocarla. Questa forma grave porta anche alla tetraplegia, ovvero paralisi di tutti gli arti e paraplegia, la paralisi dei soli arti inferiori. La diagnosi precoce può essere fondamentale, perché permette di agire tempestivamente nella cura della malattia. 



Non bisogna dimenticare che, a volte un dolore muscolare può nascondere la presenza di tumori o cattivo funzionamento del sistema nervoso centrale, causato anche da traumi non curati. La patologia del nervo trigemino (nervo cranico fra la mandibola e la tempia), ad esempio è causato spesso o da una forte infiammazione oppure dalla presenza di un tumore. La sclerosi multipla nei sintomi ha molto in comune con la polinevrite, perché nasce dalla distruzione della mielina del sistema nervoso centrale; nel caso di sclerosi multipla però i sintomi sono più legati a tremori e disturbi della parola.   




Gli esami da effettuare e la diagnosi


Gli esami utili a scoprire e a diagnosticare la polinevrite sono gli esami del sangue e la VES, la creatinchinasi, radiografie, elettroneurografie e tutte le indagini che lo specialista può ritenere opportune, come la risonanza magnetica o la biopsia del muscolo, effettuata da uno specialista patologo. Negli ultimi tempi si ricorre spesso ai test di predittività o test genetici, i quali sono importanti per individuare eventuali elementi genetici, che potrebbero causare la patologia. 
I test genetici oggi sono utilizzati per ricercare i geni responsabili di alcune patologie come quelle cardiovascolari ma anche neurodegenerative e tumorali. Infatti la predisposizione ad una patologie è anche scritta nel DNA.



Un test genetico non è altro che un esame del DNA, che analizza un campione di saliva per ricercare la presenza di varianti nei geni, responsabili dello stato di salute.


Polinevrite: come si cura


Le cure dipendono dal tipo di polinevrite in atto; è ovvio che bisogna agire sulla causa. Se la polinevrite è causata da carenza di vitamine del gruppo B, bisognerà integrare questa vitamina, se dipende dall'uso di alcol, bisognerà smettere. La polinevrite da infezioni vanno curate con l'impiego di farmaci adatti, quali immunosoppressori e corticosteroidi, antidolorifici. Bisognerà seguire, in ogni caso tutte le indicazioni dello specialista, dalla dieta allo stile di vite e all'attività fisica, fattori che possono influire favorevolmente sullo stato di salute generale, anche in presenza di polinevrite, attutendone i sintomi. 












mercoledì 13 giugno 2018

Dynamic running therapy: correre e meditare la terapia di William Pullen

Un nuovo modo di fare attività fisica arriva dall'Inghilterra, per sciogliere stress e stanchezza che accompagnano la vita di tutti i giorni


La corsa dinamica è un'attività fisica fai-da-te, che diventa gratificante e aiuta a sciogliere i nodi emotivi. Correre aiuta a sgombrare la mente da pensieri negativi e aumenta la concentrazione.Inoltre l'attività fisica riduce lo stress.
Nel libro di William Pullen, "terapista di corsa" sono spiegate le tecniche o meglio un metodo della nuova terapia. Il testo è arrivato da poco tempo anche nelle librerie italiane e sta riscuotendo molto successo, come d'altra parte la gran parte dei libri di auto-aiuto. 
"Siate pazienti, se faticate o entrate in conflitto, provate semplicemente a distaccarvi mentalmente, con il tempo migliorerete" è il consiglio di Pullen.
La meditazione come qualsiasi attività fisica ha bisogno di un esercizio costante, per poter arrivare a risultati. La pazienza e la perseveranza sono alla base di tali attività. Vi sono molti metodi contro lo stress e l'ansia, che se praticate con impegno rappresentano una salveza per la salute psico fisica. 

Chi è William Pullen?

William Pullen è uno psicoterapeuta, specializzato nella cura di problematiche come la depressione, l’ansia, la scarsa fiducia di sé e l’abuso di sostanze, e fondatore della Dynamic Running Therapy (DRT). I suoi articoli sono stati pubblicati su molti giornali e riviste tra cui «Vogue», «The Independent» e «GQ».

La corsa può essere intrapresa a tutte le età e fatta anche con passo lento, trasformandola in passeggiata, con pause e ri partenze, in modo tranquillo prendendosi il proprio tempo senza stress. 

I consigli di William Pullen

  • scegliere un percorso conosciuto e familiare;
  • correre o passeggiare con moderazione, aumentando ogni volta i minuti;
  • trovare il proprio andamento, quello più adatto al nostro corpo o anche a quella giornata;
  • osservare l'ambiente intorno, concentrandosi sugli elementi, sui colori, le foglie e la vegetazione;
  • la consapevolezza non deve mai essere abbandonata;
  • concentrazione sui passi e sui respiri, su se stessi;
  • provare a lasciar andare i pensieri;
  • con il tempo, il mondo intorno sembrerà scomparire: è la strada giusta
Alcuni stralci da: 

"Il metodo rivoluzionario per correre e meditare"


Vi troverete a viaggiare lungo un sentiero che si dispiega nella vostra mente. Una postura ricurva comunica quanto vi pesi il mondo, mentre un passo scattante potrebbe essere la conseguenza della promozione avuta ieri. Il movimento è fondamentale nella nostra vita. Spesso per crescere o superare conflitti abbiamo bisogno di sentire che stiamo attraversando un passaggio o una transizione. 

Il movimento cambia la prospettiva e, nel farlo, offre chiarezza e accende la speranza, determinazione e possibilità. Per l'efficacia di tale pratica è fondamentale il fenomeno definito "emozione in movimento" , la sensazione di sentirsi completi e connessi ai nostri sentimenti mentre ci muoviamo. 

Il mondo non è un luogo facile dove vivere e spesso la vita rende tutto difficile; a volte la mente è talmente assillata che ha bisogno di un rifugio e di riposo. Ritagliarsi momenti per se stessi nei quali meditare ed entrare in contatto con la parte più intima serve a rafforzare lo spirito e affrontare con più serenità i problemi che affliggono la nostra vita. Inoltre la natura è un'alleata contro stress e sofferenze .

lunedì 11 giugno 2018

Tumore tenosinoviale a cellule giganti, pexidartinib di Daiichi Sankyo riduce le dimensioni


Congresso ASCO 2018. I risultati dello studio ENLIVEN


Chicago  – Pexidartinib, somministrato per via orale, riduce significativamente le dimensioni del tumore tenosinoviale a cellule giganti (TGCT) rispetto al placebo. All’Annual Meeting dell’American Society of Clinical Oncology in corso a Chicago, Daiichi Sankyo ha presentato i risultati di ENLIVEN, lo studio di Fase III che ha arruolato pazienti con tumore tenosinoviale a cellule giganti per i quali la chirurgia avrebbe comportato un potenziale peggioramento della funzionalità o una morbilità severa.

Pexidartinib è una piccola molecola sperimentale, innovativa, ed è un potente inibitore del recettore del cosiddetto ‘fattore stimolante le colonie-1‘ (CSF-1), una proteina che svolge un ruolo chiave nel processo di proliferazione di cellule anomale nella membrana sinoviale che sono responsabili di TGCT.Sulla base di una lettura centralizzata delle immagini della risonanza magnetica secondo i criteri RECIST (Response Evaluation Criteria In Solid Tumors) Versione 1.1, il trial ha evidenziato una risposta globale (ORR, endpoint primario) del 39% alla Settimana 25 in pazienti trattati con pexidartinib per via orale, a fronte dell’assenza di una risposta tumorale nei pazienti trattati con placebo (P<0,0001, statisticamente significativo).Dopo un follow‑up mediano di 6 mesi (follow‑up più lungo a 17 mesi), nessun responder dello studio ENLIVEN è andato incontro a progressione del tumore. “Le attuali opzioni per il trattamento di TGCT sono per lo più limitate alla chirurgia allo scopo di rimuovere il più possibile della massa tumorale.

Nonostante un intervento chirurgico ottimale, la frequenza di recidiva di un TGCT diffuso è elevata e la malattia può progredire fino a che la chirurgia non sia più una soluzione praticabile” ha spiegato il dott. William D. Tap, principale ricercatore di questo studio e Direttore del Sarcoma Medical Oncology Service del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York. “Pexidartinib può offrire un’importante opzione di trattamento per i pazienti con TGCT associato a morbilità severa o a limitazioni funzionali per il quale la chirurgia sia sconsigliata”. Il tumore tenosinoviale a cellule giganti (TGCT), definito in precedenza sinovite villonodulare pigmentosa (PVNS) o tumore a cellule giganti della guaina tendinea (GCT‑TS), è una rara forma di neoplasia, generalmente non metastatica, che colpisce le articolazioni sinoviali, le borse e le guaine tendinee, provocando gonfiore, dolore, rigidità e ridotta mobilità in corrispondenza dell’articolazione interessata. Sulla base degli studi condotti in tre Paesi, l’incidenza stimata di TGCT è da 11 a 50 casi per milione.

Generalmente la malattia è diagnosticata in pazienti tra i 20 e i 50 anni di età e, secondo il tipo di TGCT, le donne possono avere fino al doppio di probabilità di sviluppare il tumore rispetto agli uomini. La terapia primaria per il TGCT prevede un intervento chirurgico per l’asportazione del tumore. Tuttavia, nei pazienti con tumore diffuso, il tumore può avvolgere l’osso, i tendini, i legamenti ad altre componenti dell’articolazione, diventando di difficile rimozione e, oltre a comportare la necessità di diversi interventi di resezione e artroplastica, può progredire fino a che la resezione chirurgica non sia più praticabile e si renda necessario considerare un’amputazione. La frequenza di recidive stimata per un TGCT diffuso può essere compresa tra 20 e 55%

Studio ENLIVENENLIVEN, è lo studio di Fase III, multicentrico globale, randomizzato, in doppio cieco, che ha valutato pexidartinib in pazienti con TGCT sintomatico avanzato nei quali l’asportazione chirurgica del tumore avrebbe comportato un potenziale peggioramento della limitazione funzionale o una morbilità severa. La prima parte dello studio, la fase in doppio cieco, ha arruolato 120 pazienti che sono stati randomizzati (1:1) a ricevere pexidartinib alla dose di 1000 mg al giorno, o placebo, per 2 settimane, seguita da 800 mg di pexidartinib al giorno per 22 settimane, allo scopo di valutare l’efficacia e la sicurezza di pexidartinib rispetto al placebo. L’endpoint primario dello studio era quello di verificare la percentuale di pazienti che otteneva una risposta completa o parziale dopo 24 settimane di trattamento (Settimana 25), valutata sulla base di una lettura centralizzata delle immagini della risonanza magnetica secondo i criteri RECIST 1.1. I principali endpoint secondari includevano l’estensione dei movimenti, la risposta in termini di volume del tumore, la funzionalità fisica secondo il sistema PROMIS, la rigidità e le misure di riduzione del dolore.

Dopo aver completato la prima parte dello studio, i pazienti randomizzati a pexidartinib o al placebo sono stati considerati eleggibili a partecipare alla seconda parte di ENLIVEN, a lungo termine, in aperto, durante la quale i pazienti hanno potuto continuare, o iniziare, a ricevere pexidartinib. Nell’ottobre 2016, dopo la segnalazione di due casi di tossicità epatica grave non fatale nello studio ENLIVEN, la Commissione per il monitoraggio dei dati (DMC) ha raccomandato di considerare i pazienti trattati con placebo nella prima parte dello studio non eleggibili ad un inizio del trattamento con pexidartinib nella seconda parte dello studio. In totale 120 pazienti arruolati prima della raccomandazione della Commissione hanno continuato lo studio secondo il protocollo rivisto. Gli endpoint secondari di efficacia hanno dimostrato che i pazienti trattati con pexidartinib hanno presentato una risposta globale (ORR) del 56% in termini di volume del tumore (Tumor Volume Score ‑ TVS), mentre la risposta è stata assente nei pazienti che avevano ricevuto il placebo (P<0,0001). Un miglioramento clinicamente significativo rispetto al placebo è stato osservato in altri endpoint secondari di efficacia che includevano l’estensione dei movimenti (+15% vs. +6%, P=0,0043), la funzionalità fisica secondo il sistema PROMIS (+4,1 vs. ‑0,9, P=0,0019) e la rigidità massima (‑2,5 vs. ‑0,3, P<0,0001). Inoltre, vi è stato un miglioramento non significativo della risposta al dolore (31% vs. 15%). Nello studio ENLIVEN, la tossicità epatica è stata più frequente con pexidartinib che con placebo (AST o ALT ≥3 x LSN: 33%, bilirubina totale ≥2 x LSN: 5%, N=61). Otto pazienti hanno interrotto il trattamento con pexidartinib a causa di eventi avversi (EA) epatici, quattro dei quali erano EA gravi non fatali con aumento della bilirubina ed uno è durato ~7 mesi. Negli studi di sviluppo sull’utilizzo di pexidartinib, condotti in pazienti non affetti da TGCT, sono stati osservati due casi di tossicità epatica severa (uno ha richiesto il trapianto epatico ed uno ha portato al decesso). 

Altri EA osservati in ENLIVEN con una frequenza >10 percento e più comuni con pexidartinib sono stati: cambiamento del colore dei capelli, prurito, eruzione cutanea, vomito, dolore addominale, stipsi, affaticamento, disgeusia, edema facciale, edema periferico, edema periorbitale, inappetenza ed ipertensione. Pexidartinib è una piccola molecola sperimentale, innovativa, ed è un potente inibitore del recettore del cosiddetto ‘fattore stimolante le colonie-1‘ (CSF-1), una proteina che svolge un ruolo chiave nel processo di proliferazione di cellule anomale nella membrana sinoviale che sono responsabili di TGCT. Pexidartinib inibisce anche c‑kit e FLT3‑ITD. Pexidartinib è stato scoperto da Plexxikon Inc., il centro di R&S sulle piccole molecole di Daiichi Sankyo.Pexidartinib ha ottenuto la designazione di terapia fortemente innovativa (Breakthrough Therapy) per il trattamento di pazienti con sinovite villonodulare pigmentosa (PVNS) o tumore a cellule giganti della guaina tendinea (GCT‑TS), nei quali la resezione chirurgica potrebbe provocare un potenziale peggioramento della limitazione funzionale o una morbilità severa, nonché la designazione di farmaco orfano per PVNS/GCT‑TS da parte della Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti. Pexidartinib ha anche ricevuto la designazione di farmaco orfano per il trattamento di TGCT dalla Commissione Europea. Pexidartinib non è ancora approvato dalla FDA o da altro ente regolatorio nel mondo come trattamento per alcuna indicazione. La sicurezza e l’efficacia non sono ancora state stabilite.

“Riteniamo incoraggianti i risultati dello studio ENLIVEN ed intendiamo presentare alla FDA una domanda di registrazione di nuovo farmaco (NDA) e sottoporre alle istituzioni regolatorie europee una richiesta di valutazione di pexidartinib” ha affermato il Dr. Gideon Bollag, CEO di Plexxikon, società del gruppo Daiichi Sankyo. Daiichi Sankyo Cancer EnterpriseLa vision di Daiichi Sankyo Cancer Enterprise consiste nell’applicazione di conoscenze e capacità innovative guidate da un pensiero non convenzionale per sviluppare trattamenti significativi per i pazienti affetti da cancro. L’azienda è impegnata a trasformare la scienza in valore per il paziente, e questo impegno è presente in tutte le sue attività.

L’ obiettivo è quello di mettere a disposizione dei pazienti sette nuove molecole nei prossimi otto anni, dal 2018 al 2025, avvalendosi dei risultati dei SUOI tre pilastri: il Franchise Anticorpo Farmaco Coniugato, quello dedicato alla Leucemia Mieloide Acuta e quello di ricerca focalizzato sullo sviluppo delle nuove molecole (Fase I).I Centri di ricerca della Daiichi Sankyo Cancer Enterprise includono due laboratori di bio/immuno-oncologia e “small molecules” in Giappone e Plexxikon Inc. a Berkeley (California), e il centro di R&S sulla struttura delle “small molecules”. Tra i composti che si trovano nella fase cruciale di sviluppo figurano: DS-8201, un coniugato anticorpo-farmaco (ADC) per i carcinomi HER2-positivi della mammella, dello stomaco ed altri, il quizartinib, un inibitore orale selettivo di FLT3 per la leucemia mieloide acuta (AML) con mutazioni di FLT3-ITD di nuova diagnosi e recidivante/refrattaria, e il pexidartinib, un inibitore orale di CSF-1R per il tumore tenosinoviale a cellule giganti (TGCT).

Mario Mauri - Notiziabile